In molte delle pizziche cantate nelle ronde si sente spesso la frase
“Nazzu nazzu nazzu la paparina cu lu lapazzu
ca senza lu lapazzu la paparina ci me lu fazzu”
che grossolanamente vuol dire
“Nazzu nazzu nazzu la paparina con il lapazzu
senza lapazzu cosa me ne faccio della paparina“
oppure ancora
“la mamma la cucina lu lapazzu e la paparina“
abbastanza comprensibile.
La paparina è uno degli ingredienti base della “cucina povera” che venivano impiegati dagli antichi braccianti nella preparazione di pietanze invece di essere destinati allo scarto.
E’ una pianta spontanea conosciuta meglio come Papavero rosolaccio: quando la pianta è ancora poco sviluppata ed è lontana dalla fioritura, il cespo di foglie che si sviluppa attorno alla radice, all’inizio della primavera, può essere raccolto e consumato lessato o saltato in pentola come verdura nota appunto con il nome paparina.
Preparata sostanzialmente in due modi, ‘nfucata (stufata) e ‘a fritta (soffritta) è uno dei piatti identitari del salento.
Si tratta di un piatto poverissimo, privo di grandi capacità nutritive spesso usato anche per farcire ‘mpille e pucce (tipi di pane molto lievitato che si cuoceva alla fiamma alta e si consumava freschissimo) o per accompagnare, quando possibile piatti di selvaggina.
Proprio per la sua “povertà” questa “verdura” ha buona consistenza ma non sa di nulla per questo si abbina sempre ad un’altra erba che in dialetto si chiama “lapazzu” leggermente acidula.
Lapazzu è il nome in dialetto del Lapazio, una sorta di “bietola” selvatica che, come la paparina, cresce naturalmente spesso lungo i bordi delle strade e nei luoghi incolti e che serve ad addolcire, nella cottura, il gusto agreste della “paparina”.
Da questo accostamento nascono i detti cantati negli stornelli : “cosa me ne faccio della paparina senza il lapazio?“.
Fonti
- La paparina mia – [Pino de Nuzzo]
- Papavero Rhoeas – [Wikipedia]
- Salento, papaveri lapazzu e paparine – [Affari Italiani]
- Lapazio – [Wikipedia]